‘Le notti di Circea’ è il libro di Norberto Fragiacomo edito da Vertigo Edizioni.
Il protagonista del romanzo è Libero Sassinovich, un commissario di polizia alle prese con un caso che lo coinvolge in prima persona. Il romanzo è brillante, ha una trama scorrevole e la figura del protagonista è ben tratteggiata; chi si appassionerà a lui, al suo modo di indagare e alla sua personalità tutta particolare potrà ritrovarlo anche in altre pubblicazioni dello scrittore, che gli ha dedicato altri sette racconti.
Noi di Vertigo Edizioni abbiamo intervistato l’autore per scoprire i retroscena del suo libro e per comprendere il suo rapporto con la scrittura. Per i lettori è sempre interessante conoscere particolari in più sull’autore e sulle motivazioni che l’hanno spinto a scriver e a pubblicare il suo lavoro.
Di seguito riportiamo l’intervista a Norberto Fragiacomo.
Come è nata l’idea di questo romanzo?
Il commissario di P.S. Libero Sassinovich è un personaggio che, ormai da qualche anno, mi fa compagnia d’estate, visto che è in questa stagione che mi dedico di preferenza alla stesura di racconti e brevi romanzi che hanno (quasi sempre) per protagonista il mio poco raccomandabile “alter ego”. Per quel che riguarda l’ambientazione della novella a inizio 2017 ho preso servizio in qualità di Segretario comunale di prima nomina in quattro Comuni della Provincia di Gorizia: uno di questi era Medea, una graziosa cittadina di meno di 1.000 anime che, conquistando il mio genuino interesse, ha ispirato l’immaginaria Circea. A loro volta quelle dei “benandanti” – stregoni bianchi votati alla difesa dei raccolti dalle forze maligne – sono figure affascinanti del folklore e della cultura del Friuli che ho provato nel racconto ad attualizzare. Insomma: gli spunti sono innumerevoli e – ritengo – anche i possibili piani di lettura di un libro che si presenta in veste di “giallo”, aspirando a essere anche una riflessione sul presente.
C’è un libro al quale è particolarmente legato e che le ha insegnato qualcosa?
Molti e di svariati generi sono i libri che porterei con me sulla proverbiale “isola deserta”; se però dovessi fare una cernita e sceglierne uno soltanto risponderei senza esitazioni: Delitto e castigo. Dostoevskij è a parer mio lo scrittore che più di ogni altro si è mostrato capace di illuminare gli oscuri abissi dell’animo umano e di rappresentare l’ambivalenza e la contraddittorietà di ciascuno di noi. I suoi personaggi non si distinguono in buoni e cattivi, positivi e negativi, perché sanno essere a seconda delle circostanze entrambe le cose: nobili e spregevoli, disinteressati e meschini, razionali e pateticamente sciocchi. Cosa mi ha insegnato Dostoevskij? Che così come la nostra terra è un puntolino disperso nella terrificante vastità del cosmo ogni essere umano è un insetto che resta tale anche quando si crede Napoleone, cioè l’incarnazione dello Spirito del mondo – e al contempo che questa miserevole, indifesa creatura riesce talvolta, come per incanto, a spiegare ali che non sa di avere e a volare incredibilmente in alto, allontanandosi dalle sozzure del mondo.
Qual è il suo pubblico ideale? A chi pensa quando scrive?
Questa è una domanda “difficile” e un po’ imbarazzante, in quanto a essere sincero io scrivo anzitutto per me, per cercare di mettere ordine nei miei pensieri – cioè, in estrema sintesi, per conoscermi meglio – e per far pace con demoni sempre in agguato. La risposta quindi l’ho data: penso a me stesso, osservandomi – come un solipsista che scambia il mondo per una proiezione del proprio Io. Nel contempo – e c’è forse una contraddizione in questo, non lo nego – mi sforzo di dare alla mia riflessione una portata più ampia, mi azzarderei a dire “universale” se non mi rendessi conto che un simile aggettivo è ridicolmente sproporzionato rispetto alla modestia delle mie potenzialità di uomo e di scrittore. Certo, mi fa piacere che altri mi leggano e magari apprezzino la mia opera, e il piacere aumenta se si tratta di persone colte, sensibili e desiderose di scoprire quel che si cela tra le righe: quale che sia il loro valore non considero i miei scritti “letteratura d’evasione”. Insomma, se uno prende in mano il libro con l’unico intento di scoprire prima degli altri “chi è l’assassino” forse ha sbagliato romanzo: troverà di meglio altrove.
Ha delle abitudini particolari durante la scrittura?
Dipende da cosa sto scrivendo. I versi delle mie poesie dialettali li compongo passeggiando nel boschetto vicino casa: un tempo portavo con me un taccuino, oggi uso lo smartphone (che così mi ripaga della seccatura di telefonate e messaggi in arrivo). Articoli, racconti e novelle richiedono maggiori attenzione e accuratezza: elaborata mentalmente una traccia mi siedo alla scrivania e accendo il pc. Chiedo spesso aiuto ai dizionari online, poiché non sempre dalla tastiera esce il vocabolo che reputo giusto, non sempre il suono di una frase mi persuade. Quando l’ispirazione latita non insisto: esco sul balcone per accendermi una sigaretta e se proprio non c’è verso di riprendere spengo il computer e rimando tutto al giorno dopo (se libero) o alla prima occasione utile. Scrivere è un impegno e talora una lotta con se stessi, ma non sempre l’umore è quello giusto: se manca la voglia è meglio dedicarsi ad altro.
Sta già lavorando a un nuovo libro?
Sto scrivendo un romanzo breve (un centinaio di pagine o poco più) che ha per protagonista il solito Sassinovich e si intitolerà “L’esame”. Il racconto è ambientato a fine anni ’80: Libero deve ancora sostenere l’esame orale per l’accesso in polizia e smania tutto il santo giorno, senza avvedersi che il mondo intorno a lui sta bruscamente cambiando. Un vecchio oste viene ucciso in modo barbaro in una città di mare che assomiglia a Trieste, e “il giovane Sassinovich”, che frequentava il suo locale, proverà a dare un contributo all’indagine. Come sempre la trama è poco più di una scusa per “parlare d’altro”: di una comunità ripiegata su se stessa, di solitudini individuali, di un sistema che promette diritti e benessere e poi, alla prova dei fatti, smercia crescenti diseguaglianze, stress e infelicità. Come ne “Le notti di Circea” il c.d. lieto fine può coincidere, nella migliore delle ipotesi, con una sbronza tra amici disillusi, ma legati l’uno all’altro dalla “social catena” e da affetto disinteressato.
Noi di Vertigo Edizioni ringraziamo ancora Norberto Fragiacomo per averci dedicato il suo tempo. Per noi è stato un piacere accompagnarlo nel cammino editoriale che ha portato alla pubblicazione del suo manoscritto ‘Le notti di Circea’ e gli auguriamo di ottenere il riscontro che desidera.